TEMA SU ?TRE CROCI? di Umberto Tozzi.

1.

Il negozio dei tre fratelli Gambi è in grave passivo, in tutto il romanzo si può notare come nel negozio la gente che entra lo fa per chiacchierare più che per comprare realmente un libro e anche loro non appaiono mai molto interessati a vendere realmente qualcosa. Sono quindi costretti per sopravvivere e soprattutto per mantenere il tenore di vita elevato che tanto amano a firmare delle cambiali false. Nel romanzo non emerge, però, solo il fallimento economico, ma anche quello umano: i tre fratelli sono affratellati solo dalla golosità. In particolare Enrico non prova affetto per i fratelli ed è spinto da loro solo dal bisogno di soldi per andare a comprare qualche leccornia, mentre per quanto riguarda gli altri due si nota che Nicolò vuole bene a Giulio e soffre al pensiero che vuol prendersi tutta la colpa, ma coglie anche l'occasione di usare la morte del fratello per salvarsi, del resto Tozzi non esplora a fondo i loro rapporti.

2.

Giulio e Nisard si incontrano per strada e iniziano così a parlare. I due, però, non si comprendono. Giulio si sente come ?un ragazzo che si trova dinnanzi a cose che non può capire, ma vi si attacca lo stesso.? Egli sente che, forse per la prima volta, può parlare con immensa sincerità, ma allo stesso tempo non vuole parlare di sé stesso e ancora meno delle cambiali false. Già qui c'è il primo punto di distacco tra i due interlocutori: il Nisard non si era messo a parlare con Giulio per ascoltare quelle che lui definisce ?divagazioni fuori di luogo; che sembrano sciocchezze d'una mente alterata?, ma piuttosto si era incamminato con il libraio per ?la curiosità? che aveva ?di sapere tutta la storia delle cambiali?. Il Nisard rimane quindi deluso nel sentire che Giulio non ha nessuna intenzione di renderlo partecipe della sua avventura. Inoltre, il Nisard non può sapere che Giulio ha già deciso di togliersi la vita: così se in un primo tempo esplicita la sua inconsapevolezza nel chiedere ?ci tornerà, ora, da sé?? alla fine dimostra il suo totale disinteresse per il reale problema di Giulio quando valuta l'intero discorso del libraio come ?sciocchezze d'una mente alterata!?. Infatti, se il Nizard fosse stato interessato al problema di Giulio nella sua profondità esistenziale, e non solo come una novità da aggiungere alle altre che già componevano la lunga serie di pettegolezzi della cittadina, avrebbe potuto capire il discorso di Giulio.

3.

Giulio tornato alla libreria si uccide impiccandosi a una trave. Tozzi descrive sia l'ambiente fisico del luogo scelto per l'atto sia l'atmosfera psicologica che accompagna il protagonista in questa decisione. Innanzi tutto la scelta della libreria come luogo dove porre fine alla propria travagliata esistenza non è certo casuale. Giulio incolpa la libreria stessa della sua rovina, ?gli venne voglia di avventarsi a quelle parenti?, e quindi non poteva essere altro che questo luogo a decretare, anche fisicamente e non solamente moralmente, la morte del libraio. Il luogo era buio con solo il gasse acceso. ?il rumore del gasse, prendendo fuoco, lo fece tremare di spavento?, il protagonista ha paura, sa che è di fronte a un bivio: uccidersi o vivere l'umiliazione della prigione. Sa anche che non sarà mai capace di scegliere la seconda, ma non vorrebbe essere costretto neppure a scegliere la prima. Questo stato d'animo lo porta a odiare quelle pareti che ?lo avevano fatto mentire e poi perdere?, cresce in lui il senso della sconfitta e al lettore la conclusione appare ormai inevitabile. Il climax ascendente dell'ansia continua a crescere con la descrizione di Nicolò che da fuori della libreria bussa e chiama il fratello, quasi come se percepisse cosa sta succedendo all'interno. Nella frase ?lasciò che egli smettesse di battere le nocche? il lettore capisce che Giulio ha deciso: si ucciderà. Certo poche righe dopo Tozzi riporta un po' di ambiguità dicendo ?non credette più che si sarebbe ammazzato?, ma in realtà è ovvio che ormai nulla può più fermarlo: neanche il sentire la disperazione del fratello che lo cercava lo ha potuto fermare. Si inizia però a percepire da queste parole che Giulio è un po' confuso, non si rende conto fino in fondo di quello che gli sta accadendo: è quasi come se fosse un attore che recita una parte, una parte che però è la sua vita stessa. Questo è poi evidenziato dall'insistenza di Tozzi nel ribadire il fatto che Giulio ?era proprio sicuro che non si sarebbe ammazzato?, ma che allo stesso tempo ?guardava scherzando? la forca che si era costruito. La confusione che ormai aveva preso il protagonista è poi evidenziata dal fatto che ?egli delirando le parlava, perché non lo tentasse. Ma non osava più toccarla?. Giulio è preso da un lato dall'umana paura di morire, ma dall'altra dall'attrazione di provare a vedere cosa succede se metterà la testa nel cappio, se sarà capace di porre fine alla sua esistenza. Lo stesso Tozzi poco prima che il suo personaggio si suicidi lo definisce ?pazzo? e ribadisce in modo definitivo questo stato di alterazione delle percezioni col fatto che Giulio dice di sentire gli oggetti falsamente antichi che lo attaccano, che gli dicono ?tu sei uguale a noi! È inutile che tu cerchi di evitarci?. Qui sembra proprio che ormai la coscienza di Giulio sia diventata la reale protagonista e con la sua azione porta il libraio a mettere la testa nel cappio. Particolarmente toccate è la scena della firma falsa che inizia a saltellare in cui si tocca l'apice di emozione, una grande tensione che viene sublimata dal fatto che dopo tutte queste righe di descrizione dell'atmosfera che stava intorno al personaggio, ai rumori e alla frenesia esterni, al suo alterato stato d'animo, la descrizione della morte avviene in tre righe con una rapidità e una semplicità che stringe il cuore al lettore producendo in lui il senso di come possa essere veloce morire.

4.

Giulio una volta deciso che si sarebbe suicidato non sente più la necessità di salutare la sua famiglia, riteneva infatti che fosse come un dovere per lui rimanere solo. Il libraio aveva deciso che si sarebbe preso il peso di tutta la colpa e avrebbe così salvato i fratelli. Probabilmente Giulio non sentiva la necessità di salutare la famiglia perché i suoi famigliari, in particolare Nicolò, avrebbero potuto fermarlo. Del resto non era molto legato ai fratelli. Inoltre ritengo che lui avesse deciso di suicidarsi più per sé che non per salvare i fratelli: Giulio non poteva vivere in prigione e voleva punirsi per come aveva lasciato che la sua vita andasse in rovina. Non sentiva quindi il bisogno di salutare un'ultima volta i suoi parenti quanto di stare solo per entrare in contatto con sé stesso.

5.

Le pareti della libreria vengono prese da Giulio come le artefici reali della rovina della sua vita, ?loro lo avevano fatto mentire e poi perdere; loro le più forti?. Innanzitutto, il libraio accusa le pareti di averlo fatto mentire perché in effetti a causa del fatto che gli affari con la libreria non andavano bene aveva dovuto iniziare a firmare cambiali false. Del resto le pareti lo avevano anche fatto perdere perché le cambiali false erano state scoperte e loro sarebbero stati processati. Ma Giulio non era solo stato sconfitto da un punto di vista pratico, la perdita di libertà, ma anche morale. Le pareti quindi si erano rivelate le più forti, non era stato possibile ai fratelli scongiurare la disfatta. Emerge qui chiaramente come Giulio sia frustrato, lui era quello che aveva creduto di più nella libreria e quindi anche quello che aveva sofferto di più per la disfatta. Inoltre era lui che firmava le cambiali false e quindi era lui quello che si sentiva direttamente colpevole. Per non parlare del fatto che Giulio si sente in qualche modo responsabile di non essere stato capace di preservare il patrimonio lasciato loro dal padre.

6.

In entrambi i libri i personaggi sono distaccati dalla realtà perché sono incapaci di vivere e producono una sorta di velata critica verso la società commerciale. Zeno non ha una funzione specifica nella sua società, la sua sola occupazione sembra consistere nel discutere di sé stesso e con sé stesso la realtà che lo circonda. Per questo Svevo gli ha creato una situazione di assoluto privilegio sociale, tale che egli non è legato a nessuna attività seria di lavoro o di produzione, a nessun ordinamento, e perciò li sente tutti precari e discutibili. I tre fratelli di Tozzi, invece, hanno un lavoro ben preciso quello dei librai. Nonostante questa apparente differenza c'è da dire che i tre fratelli sono ugualmente distaccati dalla realtà, infatti, sembrano non preoccuparsi troppo della loro situazione, ma anzi invece di cercare di risparmiare un po' di soldi ed evitare così almeno in parte la necessità di firmare cambiali false, continuano a comprare succulenti cibi, a tenere cioè un tenore di vita troppo elevato per le loro possibilità. Non si mostrano realmente coscienti, o forse sufficientemente preoccupati, della loro condizione economica neanche quando si rifiutano di vendere un vaso ritenendo di poter guadagnare di più aspettando. Quindi in entrambi i libri il personaggio o i personaggi sono distaccati dalla realtà anche se nel caso di Zeno Cosini questo suo stato è una diretta conseguenza del privilegio sociale che lo scrittore gli ha dato. Tra i tre fratelli quello che senza dubbio si avvicina di più alla figura di Zeno è Giulio. Infatti, egli è il più riflessivo dei tre personaggi e sente forte su di sé la sua incapacità di vivere proprio come Zeno.